Il giusto tempo della vacanza

Sono rientrata al lavoro dopo una pausa singolarmente lunga, così lunga per me da indurmi al senso di colpa. La comunicazione di sé che il libero professionista, e il designer nella fattispecie, continuamente propone in modo più o meno vigilato, mal si accorda alla vacanza. Ma dato che la rigenerazione del corpo e della mente è importante, la domanda alla fine è: quanto tempo dedicare alla “vita lontana dal lavoro”?

Alla ricerca di risposte utili, ho ripensato alle abitudini di designer e artisti, trovando ispirazione durante le mie ore inattive. Li vedo un po’ come dei modelli e me li appunto qui.

Uno su sette.

Il primo suggerimento mi arriva dal graphic designer (e guru) Stefan Sagmeister. Pare che il buon Stefan ogni sette anni chiuda il suo studio nel Greenwich Village e parta per un intero anno sabbatico, in cui viaggia per il mondo e raccoglie esperienze e materiali, modelli e prodotti che poi ingloba, dopo idonea digestione, nel suo lavoro, aggiungendovi così una freschezza altrimenti irraggiungibile. Nei sui speech non parla mai di come faccia a farsi aspettare per un anno dai clienti, quelli “con un lancio importantissimo da fare il mese prossimo”, ma forse le star come lui non hanno di questi problemi. Deduco che sappia fare una cosa importante: lasciar andare.

Come gli scrittori.

Un altro spunto di riflessione giunge dal mondo dei poeti e scrittori: fanno tutti le vacanze. Sembra banale ma non lo è, se comparati ai designer. In molte località di soggiorno, marine o montane, si scoprono targhe commemorative di qualche celebrità che soleva passare lì le ferie estive: interi mesi. Gli scrittori hanno sempre un luogo del cuore dove si rifugiano alla prima occasione. Invece a leggere le biografie degli artisti e architetti di solito si trova un laconico: “lascia raramente il suo studio”. In effetti l’attività produttiva incatena, mentre quella speculativa predilige il cambio del paesaggio. Ma non è un’idea salutare invertire le parti ogni tanto?

Partire sempre, non andare mai (in ferie).

Il fotografo Martin Parr parla per tutti i professionisti creativi che non staccano mai: «Non riesco quasi a credere che la gente mi paghi per il mio hobby. Quando mi chiedono dove andrò per le ferie, rispondo: perché dovrei? Sono sempre in vacanza». Ecco, mi fa pensare che sarebbe un’ottima idea viaggiare di più per lavoro durante l’anno. E non parlo di spostamenti per riunioni con clienti in un’altra città. Parlo di un progetto che si svolga sostanzialmente outdoor, fuori, lontano, in viaggio magari.

Finalizzazione.

Invece dagli artisti, massimi esperti dell’identificazione col proprio lavoro, arriva una mossa astuta: la residenza artistica. Per tutti gli altri, è la vacanza con dentro un progetto (scrivere un libro, costruire una casa sull’albero, imparare a suonare l’ukulele). Può sembrare un ibrido poco seducente, ma non sono di questo avviso i creativi che approfittano sempre delle vacanze per cominciare qualcosa di nuovo, con in mano un blocco per gli schizzi oppure una macchina fotografica – uno su tutti Ettore Sottsass.

Serendipity.

Altre volte dalle vacanze cominciano sì nuove storie, ma in modo completamente inatteso. Ho letto che il grande type designer Erik Spiekermann negli anni 70 possedeva una collezione di letterpress e molti macchinari da stampa. Aveva intenzione di trasferirsi a Londra per aprire una tipografia, così stoccò tutta la sua roba in un garage e partì per le vacanze con la famiglia prima del trasloco. Al ritorno scoprì che un incendio aveva mandato tutto in fumo, non era rimasto niente – e non aveva altre fonti di sostentamento. Così divenne un graphic designer e consulente tipografico per agenzie di comunicazione e poi grandi aziende (in seguito vennero Adobe, Apple, poi MetaDesign etc etc). Senza quelle vacanze, forse, la sua vita non si sarebbe evoluta nello stesso modo.

 

Traveling – it leaves you speechless, than turns you into a storyteller.
Ibn Battuta

 

© photo credit by Giorgio, Pista di automobilismo, Sardegna 2018

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